Il latte e le banche


Gli agricoltori svizzeri ed europei sono sul piede di guerra: è un segnale da prendere molto sul serio. Le politiche di liberalizzazione del settore primario degli ultimi anni non permettono più alcun futuro alle aziende agricole famigliari e nei prossimi tempi la Svizzera vedrà sparire ogni giorno centinaia se non migliaia di unità produttive che finora hanno garantito un’adeguata cura del territorio e del paesaggio e nel contempo una sufficiente densità di abitanti nelle aree rurali e di montagna. Assieme alla sparizione delle aziende agricole viene meno tutta una cultura e una tradizione che fa la specificità e l’attrattiva delle nostre vallate. La caduta libera del prezzo del latte è una delle cause più importanti che è frutto di una politica miope e contraddittoria della Confederazione che negli ultimi tempi si è messa sussidiare a suon di decine di miliardi le banche mentre pretende dagli agricoltori di riciclarsi in paladini del libero mercato secondo un modello si pensiero che fino a poco tempo veniva venduto come l’unica vera via del successo dei nostri maggiori istituti di credito. Un’attenta analisi dell’attuale situazione dell’alimentazione a livello planetario ci fa capire che una liberalizzazione del settore agricolo lasciandola in balia agli speculatori senza scrupoli che operano nel settore agroalimentare con dinamiche molto simili a quelle che hanno portato al fallimento delle banche, darebbe il colpo finale alle possibilità di sopravvivenza del genere umano sia sul piano sociale che su quello ambientale. L’ingiusto prezzo del latte pagato al produttore di 50 cts al litro è il risultato di un’importazione di altri alimentari da paesi lontani dove pure i produttori vengono pagati con prezzi iniqui che non corrispondono al lavoro e al reale valore nutritivo degli stessi. A rendere ancora più grottesca la situazione sono i prezzi al consumatore che non diminuiscono ma tendono invece ad aumentare. Questa discrepanza ha solo due spiegazioni possibili: o qualcuno fa dei guadagni illeciti sulle spalle dei produttori e dei consumatori oppure vi sono dei costi irrazionali e ambientali che è difficile giustificare. Trattare i prodotti alimentari come se fossero delle carte valori virtuali (e questo è quanto fanno da anni le multinazionali del settore) significa nel tempo portare tutto il sistema al collasso ne più ne meno di quello che è successo per le banche. La tragica differenza è che l’alimentazione mondiale è qualcosa di molto reale e un’ulteriore deregolamentazione, come sembra essere auspicata da quasi tutti i governi, significa toccare nel vivo le premesse della vita stessa delle persone. Basta guardare ogni giorno le foto satellitari, dove milioni di fuochi a scopo agricolo riempiono di fumo il nostro pianeta al punto tale da essere per oltre il 40% la causa dell’effetto serra, per capire quanto criminale siano queste politiche. Negli ultimi tempi qualche segnale incoraggiante sembra fare capolino. Il movimento slow food, i prodotti “chilometro zero” (come l’orto della signora Obama nella Casa Bianca) e altre iniziative riusciranno a risvegliare per tempo le menti anchilosate dei nostri eletti?. Nel nostro piccolo, pagare il latte al produttore per quello che vale realmente, significa contribuire a valorizzare la nostra terra e a salvare il nostro pianeta.

Daniele Ryser, ingegnere agronomo, Novaggio