Terra amica dell’uomo: per quanto ancora?


Gli appelli dagli ambienti della ricerca in merito al galoppante degrado ambientale causato dalle attività umane diventano sempre più incalzanti ma non sembrano trovare molta attenzione da parte del grande pubblico e in particolare da parte dei responsabili politici. Nel mio piccolo, già dagli anni più giovani osservo la natura attorno a me e, pur constatando con meraviglia quanto essa riesca a sopportare e a riparare, non posso ignorare l’evidenza sempre più marcata di chiari segni di insofferenza da parte dei vari ecosistemi nei confronti dell’attività della specie umana. Sicuramente le azioni puntuali non sono più sufficienti ad arginare la situazione e resta pertanto solo l’alternativa di un approccio più globale che tocchi temi di fondo molto delicati come la politica demografica, quella economica oltre a quella energetica. Se l’ultima tematica, che è la più visibile e correlabile direttamente con le conseguenze ambientali, è già oggetto di decisioni anche in parte coraggiose, quella dell’economia si scontra ancora con il principio saldamente ancorato nella mente degli addetti ai lavori che non vi sia sviluppo economico senza crescita. Fortunatamente negli ultimi tempi si comincia a parlare di decrescita e di ridimensionamento delle dinamiche di sviluppo, come è stato il caso in un convegno a Monte Verità tenutosi il mese di marzo. Più difficile è invece affrontare il discorso demografico che d’altra parte rappresenta il primo problema e forse quello più determinante l’attuale stato della terra. Parlare di limitazione della crescita o di decrescita della popolazione mondiale è tabù per molte religioni ma anche per molti economisti e si deve ammettere che il pericolo di alimentare teorie politiche che sono state all’origine di conflitti razziali e di veri e propri genocidi è molto grande. Ciò non toglie che va riconosciuto che la terra non è in grado di sopportare un numero eccessivo di uomini e che, raggiunta una certa soglia, la probabilità di un collasso massiccio è inevitabile. Questo lo si può osservare nelle dinamiche di sviluppo di alcune specie animali come le cavallette migratorie o la tortrice del larice che appena si trovano in condizioni molto favorevoli si moltiplicano in milioni di individui al punto tale da annientare le stesse risorse alimentari che ne hanno favorito lo sviluppo, sviluppando atteggiamenti di intolleranza quali aggressività e cannibalismo e favorendo lo sviluppo di epidemie molto virulente. Osservando le attuali relazioni umane nel mondo, sintomi analoghi a quelle riscontrate nelle varie specie animali sembrano essere sempre più all’ordine del giorno. Ciò dovrebbe farci riflettere e attivare quello che ci differenzia dagli animali, ossia la capacità di autoregolazione e autolimitazione abbinata a un impiego mirato delle varie tecnologie alternative già sviluppate e da sviluppare ulteriormente. Senza queste premesse difficilmente potremo garantire un adeguato equilibrio tra il genere umano e il sistema terra. Per continuare ad esistere la terra non ha necessariamente bisogno dell’uomo ma, almeno finora, non è vero il contrario. Tocca pertanto a noi umani agire alfine di trovare soluzioni umane e in armonia con la natura.

Daniele Ryser