Servizi pubblici e privatizzazione: quale futuro per la democrazia?


La privatizzazione dei servizi pubblici sembra essere divenuta per molti dei nostri politici la soluzione magica per tutti i mali. Se questa nuova moda sia dovuta a una loro incapacità di affrontare la realtà del Paese o a una convinzione innovativa è ancora difficile da dimostrare. Una cosa è certa: la privatizzazione procura meno lavoro agli amministratori pubblici eletti e non eletti e procura più denaro a chi assume questi servizi. Che questo denaro e la relativa offerta di servizi saranno distribuiti in modo equo sul territorio e tra le varie cerchie della popolazione è ancora tutto da dimostrare.

Il processo di privatizzazione è già iniziato da tempo e sembra spesso svilupparsi in modo poco visibile, per non dire subdolo, ponendo la popolazione e gli stessi politici davanti al fatto compiuto. La dimensione che ha assunto è tutt’altro che trascurabile e i primi risultati cominciano a manifestarsi.

Per avere un’idea generale di quanto è successo in questi ultimi dieci anni vale la pena citare alcuni esempi.

A livello federale la privatizzazione più spettacolare è quella delle Swisscom. Meno appariscente ma non per questo meno importante è il processo che interessa le Ferrovie e la Posta.

Il sistema delle Casse Malati è ormai diventato un dato acquisito e nessuno osa contestarlo quasi che fosse una fatalità irreversibile.

A livello cantonale si è cominciato con l’eliminazione dei rifiuti, e i risultati che vediamo ora sono sufficientemente eloquenti, per poi passare al settore sociosanitario, a quello della Banca dello Stato e recentemente alla scuola.

I Comuni non potevano restare inoperosi per cui si sono chinati di buona lena a studiare la privatizzazione dei trasporti, della distribuzione elettrica e c’è chi già ipotizza di privatizzare la distribuzione dell’acqua potabile e alcuni settori della sicurezza pubblica..

Questa euforia viene giustificata dai suoi fautori dalla necessità di essere più efficienti, di essere più competitivi nell’ambito del grande processo di globalizzazione a livello mondiale. Per questi la gestione pubblica dei servizi è per definizione troppo lenta, inefficiente e quindi costosa e non viene nemmeno nascosta la convinzione che i meccanismi di controllo democratico caratteristici dei servizi pubblici siano la colpa di questa inefficienza. Ma allora la democrazia è ancora veramente compatibile con le esigenze di quel mondo moderno globalizzato cosi caro ad una gran parte di coloro che ci governano? La privatizzazione non potrebbe quindi rappresentare un primo passo allo smantellamento degli ordinamenti democratici?

Le conseguenze negative a livello concreto possono aiutare a meglio percepire l’attuale processo. Ricominciamo dalla Confederazione: la telefonia mobile con la sua logica di mercato perversa non copre più tutto il territorio e si concentra sempre più laddove rende: ma gli utenti delle aree periferiche pagano altrettanto di quelli meglio serviti. La chiusura dei servizi postali e il drastico smantellamento del personale ferroviario ha colpito in modo sensibile diverse regioni periferiche al punto tale che le Camere hanno votato un credito speciale di 80 mio quale comoda panacea alla propria coscienza. Il meccanismo delle Casse Malati è una vergognosa aberrazione in cui pochi azionisti, che per definizione vogliono incassare dividendi, determinano con le loro pressioni la politica sanitaria estorcendo miliardi alla popolazione bisognosa con la connivenza (nascosta da apparenti conflitti) degli operatori sanitari privati.

Il Cantone è appena uscito dalla prima ingannevole privatizzazione dell’eliminazione dei rifiuti il cui maggior costo è a carico dei singoli cittadini ed ecco che il Parlamento vota a favore del sostegno alle scuole private creando le premesse per una scuola a due velocità, quella dei ricchi o degli aderenti a questa o quella ideologia o setta, e quella dei poveri colpendo di nuovo le aree periferiche (dove nessuno andrà a collocare delle scuole) già toccate dalle decisioni federali o i quartieri poveri delle aree urbane. Nel settore socio-sanitario chi mai osa contestare lo sviluppo di un numero sempre maggiore di operatori privati che, con il riconoscimento delle Casse Malati, “scremano i casi redditizi” lasciando quelli meno interessanti alle istituzioni pubbliche per poi dire che queste ultime sono poco efficienti e non rendono. La privatizzazione della Banca dello Stato già di fatto in corso rappresenta un ulteriore colpo a favore delle disparità territoriali. La perdita della funzione riequilibratrice tra zone e popolazione economicamente forti e quelle deboli non farebbe che favorire lo svuotamento totale e definitivo delle valli e delle aree rurali del Ticino oltre che ad aumentare le tensioni sociali.

I Comuni sono per ora più prudenti nel senso che le prime privatizzazioni sono avvenute unicamente allo scopo di snellire la gestione pur mantenendo il controllo azionario totalmente in mano agli stessi enti locali. Non è comunque scontato che questo controllo sia garantito in futuro e che diventino maggioritari eventuali azionisti privati. Se pensiamo alla distribuzione dell’energia elettrica, tenendo presente quanto succede nella telefonia, le conseguenze di una perdita del controllo da parte dei Comuni su questo servizio potrebbero significare dei servizi a due velocità in cui le aree periferiche saranno semplicemente dimenticate. L’acqua potabile non verrà risparmiata da questa evoluzione e i Comuni di montagna, memori della fine che stanno facendo i canoni d’acqua, possono farsi già fin d’ora un immagine di ciò che potrà succedere. Tralascio il capitolo della sicurezza pubblica che meriterebbe pure un approfondita riflessione sulle conseguenze negative a scapito delle aree urbane e di frontiera.

Con queste considerazioni poco rallegranti, che derivano da una semplice constatazione dei fatti, è giustificato avere qualche apprensione sul futuro della nostra democrazia.

Siamo già entrati in una spirale viziosa che inizia dalla critica dei servizi pubblici per passare alla privatizzazione parziale che tende a scremare solo i lati redditizi e che rende pertanto ancora più criticabile il servizio pubblico chiamato a supplire nelle lacune meno interessanti, per giungere alla privatizzazione totale sempre meno controllata dall’ente pubblico al quale non resterà che una funzione di puro alibi a copertura degli interessi di coloro che deterranno il maggiore pacchetto azionario. La società a due velocità che scaturirà da questo processo sarà in grado di risolvere le inevitabili tensioni sociali e tra territori? Non si sta delineando un’involuzione della nostra civiltà globalizzata che potrebbe significare la fine di un’era tutto sommato promettente sia sul piano fisico, sia su quello immateriale?

Dicembre 2000                                                                                          Daniele Ryser