Risparmiare: Per chi? Per che cosa? …..ma come?


La parola d’ordine più in voga nei discorsi dei nostri politici in questi ultimi tempi è risparmio e risparmiare.

Tutti i partiti affermano che l’obiettivo del risparmio è quello di ottenere uno stato forte e garante della solidarietà, equità e sicurezza per tutti i cittadini e su tutto il territorio.

Sull’obiettivo sembra quindi che tutti sono concordi. Meno convergenza si ha invece sul come operare questi contenimenti della spesa e il dialogo a questo punto e come se avvenisse tra persone sorde e preoccupate più di salvaguardare i destini dei propri gruppi o fazioni se non dei singoli personaggi che di cercare di affrontare il problema alla radice. È molto probabile che anche il dibattito che si svilupperà in vista delle votazioni referendarie del 16 maggio assumerà questi connotati poco chiarificatori e nessuno avrà il coraggio di andare alla radice dei problemi che ci assillano.

Partendo da una visione mondiale si può affermare che le attuali risorse naturali e di riflesso anche la relativa massa monetaria sono ancora largamente sufficienti a quelli che dovrebbero essere i bisogni del singolo essere umano intesi come standard per una vita dignitosa che permetta di garantire le premesse per un libero sviluppo delle proprie potenzialità per il bene di se stessi e degli altri. Di fatto invece queste risorse sono mal distribuite tanto che il 95% degli uomini devono contentarsi di meno del 10% delle disponibilità. Seguendo l’attualità internazionale non sembra che esista una vera intenzione a che tale squilibrio venga rapidamente risolto e addirittura le tendenze in atto indicano piuttosto un ulteriore concentrazione delle ricchezze in mano di pochi. Non ci si può pertanto meravigliare che i paesi meno ricchi guardino male chi è più ricco e che le tensioni tra questi due mondi sfocino in atti estremi di terrorismo che a loro volta vengono strumentalizzati da più parti con il solo risultato di accentuare ancora di più le disuguaglianze.

Anche la nostra nazione elvetica non è risparmiata da queste dinamiche e i dati statistici indicano chiaramente che al nostro interno le disparità aumentano sia tra la popolazione, sia tra le varie regioni. Il ruolo dello Stato quale regolatore a compensazione delle disparità e quale garante del servizio pubblico viene messo in discussione contrapponendo modelli di gestione privata ritenuti più efficienti grazie al gioco della concorrenza. L’attuale bilancio di questa privatizzazione non sembra molto allettante e non trova sicuramente molto supporto dai sempre più frequenti dissesti che vengono alla luce in grosse aziende private.

Una teoria che ha preso piede in questo ultimo decennio in seno ai nostri esecutivi cantonali e federali è quella degli sgravi fiscali. Essi vengono venduti come misure nel contempo sociali e promozionali delle attività economiche (sgravi al ceto medio e aumento del suo potere di acquisto, attrattiva per gli imprenditori, ecc.). Concretamente l’effetto di questi sgravi sulla maggioranza dei contribuenti si traduce in alcune centinaia o al massimo qualche migliaio di franchi in meno all’anno di imposte che raramente sono decisivi sul loro destino. È vero che parte di queste minori imposte vanno ad incentivare i consumi:

  • ma quali consumi (beni “essenziali” o beni “superflui”)?
  • quanto va nell'acquisto di prodotti che generano valore aggiunto a livello locale e regionale?
  • quanto va a favore di economie esterne?
  • come si distribuisce questa maggior spesa dei cittadini?
  • come e dove viene reinvestita?

Da questi interrogativi si può subito capire che in una realtà economica piccola come il Ticino, che in quasi tutti i settori dipende fortemente dall’esterno, l’effetto di un maggior consumo della popolazione grazie agli sgravi fiscali potrebbe essere quello di favorire piuttosto altre economie esterne invece di quella locale.

La riduzione di risorse a disposizione dello Stato dovuta agli alleggerimenti fiscali, può inizialmente anche essere compensata da misure di razionalizzazione dell’amministrazione dei servizi, ma a medio e lungo termine si traduce inevitabilmente in una riduzione delle prestazioni erogate sia quantitativa che qualitativa. Non mi consta che il valore delle prestazioni del servizio pubblico venga computato nel calcolo delle ripercussioni derivanti dalla riduzione delle imposte.

Ad esempio quanto costa al cittadino, sgravato da qualche centinaio di franchi di imposte, dover pagare un aiuto familiare o un infermiere privati perché il servizio di aiuto domiciliare pubblico gli rifiuta le prestazioni dovendo ridurre il proprio personale nell’ambito delle misure di risparmio. In questo caso non solo si creano disparità di trattamento (chi ha i soldi ha anche le cure di qualità), ma si promuove anche il lavoro nero o con personale poco qualificato, un fenomeno già ricorrente in parecchi paesi europei.

Una drastica riduzione dei servizi pubblici e la conseguente proliferazione di offerte private in concorrenza (o in apparente concorrenza) tra loro e con lo stesso servizio privato, porta purtroppo anche agli abusi poiché un vero e proprio controllo da parte dell’ente pubblico diventa molto difficile. Spesso di fatto dietro alla facciata di un’apparente concorrenza si celano dei veri e propri monopoli o oligopoli che a differenza dei monopoli pubblici sfuggono a ogni controllo democratico. Se già in settori come quello dell’approvvigionamento di base (elettricità, acqua, trasporti, ecc) gli effetti di questa dinamica sono chiaramente negativi, nell’ambito dell’istruzione e della socialità e sanità il risultato può assumere dimensioni devastanti. L’esempio delle casse malati è forse uno dei più preoccupanti poiché la situazione di oligopolio ha assunto un potere tale da avere in ostaggio, oltre che tutta la classe politica indipendentemente dal suo colore, anche gli erogatori di prestazioni e perfino la stessa utenza.

Rispetto alle problematiche di cui si è accennato sopra, i temi in oggetto del referendum del 16 maggio, sono di per se marginali e sotto questo aspetto possono essere anche in parte confutati. Il significato di questo appuntamento va ben oltre e dovrebbe stimolare una riflessione molto più profonda su quale società vogliamo costruire in questa prima parte del secolo ventunesimo.

Chi dice che viviamo al di sopra delle nostre possibilità e delle possibilità che ci offre madre natura ha sicuramente ragione, chi afferma che la ricchezza è sempre più concentrata in poche mani e che queste disponibilità finanziarie vengono impiegate in modo improprio ha pure ragione.

Si tratta di semplici e evidenti constatazioni che stanno sotto gli occhi di tutti per cui dovrebbero essere questi i punti di riferimento su cui tutti noi dovremmo chinarci per trovare delle soluzioni concrete ben al di sopra dei soliti tatticismi partitici, ben al di sopra di cifre di bilancio che possono essere facilmente manipolabili a seconda delle tesi che vengono sostenute, ben al di sopra delle visioni settoriali o localistiche.

È chiaro che una tale prospettiva richiede uno sforzo e un impegno di tutte le parti contrapposte nel trovare quello che può essere definito un consenso che sia convincente per tutti. In pratica ciò significa saper mettere in questione le proprie convinzioni, ascoltare veramente gli altri, superare atteggiamenti di intransigenza e di paura (di perdere il potere o il benessere materiale), ma anche non arroccarsi su rivendicazioni irrealizzabili al punto tale da illudere il concittadino che i vari problemi possono essere risolti senza la sua partecipazione attiva e diretta nella vita di ogni giorno.